Come promesso due giorni fa, ecco due incipit che apprezzo, da due romanzi di generi antitetici ma ugualmente efficaci.
Erano pressappoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e
una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva
là sulle colline. Portavo un completo blu polvere, con camicia blu
scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana
neri con un disegno a orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben
sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai
piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con
quattro milioni di dollari.
Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era
questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual
volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il
senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o
suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli
rispondevo:
- Io mi chiamo Mattia Pascal.
- Grazie, caro. Questo lo so.
- E ti par poco?
Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all'occorrenza:
- Io mi chiamo Mattia Pascal.
- Io mi chiamo Mattia Pascal.
- Grazie, caro. Questo lo so.
- E ti par poco?
Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all'occorrenza:
- Io mi chiamo Mattia Pascal.
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