Comincia oggi con questo post un ciclo di
recensioni di opere di narrativa che ho avuto la fortuna di apprezzare di
recente. Che si tratti di libri, film o altro, non mancheranno mai due elementi:
una buona storia e qualcuno per raccontarla.
Il volo del calabrone (Hornet Flight, 2002)
è il prototipo del thriller di spionaggio alla Ken Follet prima maniera (non
quello de “I pilastri della terra” per intenderci). Nell’opera sono presenti
tutti gli ingredienti del genere: spie, informazioni da trafugare, una guerra di
buoni contro cattivi e persone comuni che possono cambiare il corso della storia.
In questo caso si tratta di due giovani danesi che cercano di aiutare i servizi
segreti britannici per opporsi ai nazisti che hanno appena invaso la Danimarca.
Il punto di forza del romanzo sta nelle motivazioni
personali dei protagonisti, nel loro lato umano: Harald Olufsen vuole dare un
senso alla morte eroica del fratello; Karen Duchwitz presagia le disgrazie che
verranno per chi è ebreo come lei; Hermia Mount vuole riscattarsi dal senso di
colpa per la morte delle spie da lei reclutate; anche Peter Flemming, l’antagonista
principale, è stato vittima di una fatalità che ha reso sua moglie un vegetale.
Tutti lottano contro difficoltà più grandi di loro, tutti devono andare oltre i
propri limiti per riuscire.
Suspense, intrigo, scontri, passioni e
avventura si mescolano nelle giuste dosi, per un risultato apprezzabile anche
se a tratti poco originale, un filo al di sotto dei più conosciuti e acclamati
La cruna dell’ago e Il codice Rebecca. La “prosa trasparente” caratteristica di
Follet trascina il lettore in un mondo fittizio ma verosimile, e non si riesce più
a staccarsi dalla pagina. Intrattenimento di qualità quindi, senza sbavature,
consigliato a tutti e imperdibile per gli amanti del genere.
Voto: 4 su 5
Voto: 4 su 5
Empieza hoy con este post
un ciclo de reseñas de obras de ficción que he tenido la suerte de apreciar
recientemente. Que se trate de libros, películas u otros medios, nunca faltarán
dos elementos: una buena historia y alguien para contarla.
Vuelo final (Hornet
Flight, 2002) es el prototipo del thriller de espionaje a la manera de Ken
Follet del primer periodo (no de “Los pilares de la tierra” para entendernos).
En la obra están presentes todos los ingredientes del género: espías,
informaciones para robar, una guerra de buenos contra malos y personas comunes
que pueden cambiar el rumbo de la historia. En este caso se trata de dos
jóvenes daneses que intentan ayudar los servicios secretos británicos para
oponerse a los nazis que acaban de invadir Dinamarca.
El punto fuerte de la
novela está en las motivaciones personales de los protagonistas, en su lado
humano: Harald Olufsen quiere dar un sentido a la muerte heroica de su hermano;
Karen Duchwitz presagia las desgracias que vendrán para quien es hebreo como
ella; Hermia Mount quiere rescatarse del sentido de culpabilidad por la muerte
de las espías reclutadas por ella; también Peter Flemming, el antagonista
principal, ha sido víctima de una fatalidad que ha convertido su mujer en un
vegetal. Todos luchan contra dificultades que les superan, todos tienen que ir
más allá de sus límites para vencer.
Suspense, intriga,
enfrentamientos, pasiones y aventura se mezclan en sus justas proporciones,
para un resultado apreciable aunque a veces poco original, una pizca por debajo
de los más conocidos y celebrado La isla de las tormentas y La clave está en
Rebeca. La “prosa transparente” característica de Follet arrastra el lector en
un mundo de ficción pero verosímil, y no se puede despegarse de la página.
Entretenimiento de calidad, intachable, recomendado a todos e imperdible para
los amantes del género.
Nota: 4 sobre 5
Nota: 4 sobre 5
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