sabato 31 maggio 2014

Fiera "Passione Italia" @ Madrid, 31/5 - 6/6/14


Per tutti gli italiani e gli amanti dell'Italia a Madrid, volevo segnalare l'ottima "Passione Italia", appuntamento di promozione dell'Italia e delle sue grandi attrattive. Raccomando soprattuto le due giornate di sabato 31/5 e domenica 1/6 presso la Scuola Italiana di Madrid (c/ Augustin de Betancourt ang. c/ Ríos Rosas). Dalla pagina della Camera di Commercio italiana (CCIS):
Giornate dedicate a tutti gli amanti dell’Italia. Saranno allestiti stand gastronomici, di artigianato e di promozione turistica. Farà da contorno un ricco programma di spettacoli, animazione, show cooking, concerti e lotterie. 
Tra le destinazioni turistiche promosse durante l'evento si segnalano le province di Crotone e Cosenza, Bridisi e Foggia, Siracusa e Salerno, la regione Sardegna e le città di Torino e Milano. 
L'offerta gastronomica sarà come di consueto molto ampia. si potranno degustare eacquistare diversi prodotti tipici della tradizione culinaria italiana: pasta, vini, insaccati, dolci tipici regionali, la famosa porchetta umbra, conserve, ecc. Inoltre, verrà allestita un’area “street food” con vendita di pizze, pasta fresca, focacce, panini alla porchetta, piadine, dolci e molto altro ancora.
Interessante anche la giornata dedicata al turismo, nella Plaza de Callao martedì 3/6.
Scarica qui il programma completo dell'evento.

Ci vediamo allora in Italia... a Madrid!


Para todos los italianos y los amantes de Italia en Madrid, quería señalar la muy interesante "Passione Italia", cita de promoción de Italia y sus grandes atractivas. Recomiendo sobre todo los dos días de sábado 31/5 y domingo 1/6 en la Scuola Italiana di Madrid (c/ Augustin de Betancourt esq. c/ Ríos Rosas). De la página de la Cámara de Comercio italiana (CCIS):
Días dedicados a todos los amantes de Italia. Se instalarán stands gastronómicos, turísticos, de artesanía y promoción turística. Variado programa de espectáculos, animación, show cooking, conciertos y sorteos. 
Entre los destinos turísticos promocionados durante el evento, se señalan las provincias de Crotone y Cosenza, Brindisi y Foggia, Siracusa y Salerno, la región Cerdeña y las ciudades de Turín y Milán.
La oferta gastronómica será como siempre muy amplía. Se podrán degustar y comprar diferentes productos de la tradición culinaria italiana: pasta, vinos, embutidos, postres típicos regionales, la famosa porchetta umbra, conservas etc. Además se instalará un área “street food” de venta de pizzas, pasta fresca, focaccia, paninis, piadina y postres variados.
Interesante también la jornada dedicada al turismo, en la Plaza de Callao el martes 3/6. 
Descarga aquí el programa completo del evento

Nos vemos entonces en Italia... ¡en Madrid!

giovedì 29 maggio 2014

Immigranti o emigranti, quale futuro? ¿Inmigrantes o emigrantes, qué futuro?


La notizia è di oggi:  per la prima volta da decenni nel 2014 l'Italia avrà più italiani emigranti che stranieri immigranti. Per la Spagna questo succede già dal 2011. La spiegazione classica vede la crisi come causa principale: vengono meno stranieri per via delle minori possibilità di lavoro, e viceversa sono di più i nostri connazionali che partono a cercare un futuro migliore all'estero.

In realtà bisognerebbe includere altri fattori: la maggiore conoscenza delle lingue, gli Erasmus che decidono di non tornare, le multinazionali e i loro programmi di mobilità, i voli low cost e le chiamate gratuite di Skype, tutto questo rende naturale non considerare le frontiere come una barriera. Così non si resta a casa perché "è il posto migliore del mondo", ma si valuta oggettivamente e si sceglie con razionalità.

È la tendenza del XXI secolo a mescolare razze e culture. Infatti le mie due città sono ormai un crogiolo cosmopolita: A Madrid la popolazione straniera residente (regolare) è il 13,93% del totale (esclusi i numerosi naturalizzati), con forti presenza rumena, ecuatoriana, cinese e boliviana; mentre a Torino siamo al 15,6% dei residenti, con prevalenza di rumeni, marocchini, peruviani e cinesi.

È la strategia giusta? Dove saremo tra dieci o vent'anni? Quale sarà l'identità culturale di questa popolazione mista? Difficile rispondere, anche per colpa la politica ondivaga e incoerente dell'UE per quanto riguarda le migrazioni interne ed esterne. Al momento vige la legge di mercato, dagli esiti imprevedibili. 

Forse sarebbe meglio sedersi a discutere quale modello di società vogliamo, e applicare politiche coerenti, quali che siano. Perché questo modello selvaggio che sfrutta le speranze delle persone per spremerle come "risorse umane" non è l'unico possibile: basta guardare al Giappone che, di fronte a una popolazione che diminuisce e invecchia rapidamente, mantiene le frontiere ben salde (Tokyo, la città più grande del mondo, ha solo il 2,9% di stranieri residenti) con lo scopo di non perdere la propia specificità culturale. È una scelta discutibile, ma è pur sempre una scelta. E noi, che società scegliamo?



La noticia es de hoy: por primera vez en décadas, en 2014 Italia tendrá más italianos emigrantes que extranjeros inmigrantes. Para España esto ya ocurre desde 2011. La explicación tradicional identifica la crisis como razón principal: los extranjeros son menos debido a un menor número de oportunidades de trabajo, y viceversa hay más connacionales nuestros que salen a buscar un futuro mejor al extranjero.

En realidad, deberían incluirse otros factores: el aumento del conocimiento de idiomas, los estudiantes Erasmus que deciden no regresar, las multinacionales y sus programas de movilidad, los vuelos low cost y las llamadas gratis por Skype, todo esto hace que sea natural no considerar las fronteras como una barrera. Así uno no se queda en casa porque "es el mejor lugar en el mundo", sino que evalúa de manera objetiva y elije con racionalidad.

Es la tendencia del siglo XXI, mezclar razas y culturas. De hecho mis dos ciudades son ahora un crisol cosmopolita: en Madrid la población extranjera residente (regular) es el 13,93% del total (excluyendo los numeroso naturalizados), con fuerte presencia de rumanos, ecuatorianos, bolivianos y chinos; mientras que en Turín estamos en el 15,6% de los residentes, con mayoría de rumanos, marroquíes, peruanos y chinos.

¿Es la estrategia correcta? ¿Dónde estaremos dentro de diez o veinte años? ¿Cuál será la identidad cultural de esta población mixta? Difícil responder, también por culpa de la política incoherente e incierta de la UE con respecto a la migración interna y externa. En el momento es vigente la ley del mercado, con resultados impredecibles.

Tal vez sería mejor juntarse para debatir cuál es el modelo de sociedad que queremos, y aplicar políticas coherentes, sean las que sean. Porqué este modelo salvaje que explota esperanzas de las personas para exprimirlas como "recursos humanos" no es el único posible: basta con ver Japón que, delante de una población que disminuye y envejece rápidamente, mantiene las fronteras bien firmes (Tokio, la ciudad más grande del mundo, tiene sólo el 2,9% de extranjeros residentes) con el fin de no perder su propia especificidad cultural. Es una elección cuestionable, pero sigue siendo una elección. Y nosotros, ¿que sociedad elejimos?

venerdì 23 maggio 2014

"La città vecchia" di Fabrizio de André


Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte. 
[Ellos buscan la felicidad allí dentro a una copa
para olvidar que les tomaron el pelo
habrá alegría también en la agonía con vino fuerte
llevarán en el rostro la sombra de una sonrisa en los brazos de la muerte.]

Fabrizio de André (it / es)

Dalle citazioni di apertura di:
De las citas de apertura de:



domenica 18 maggio 2014

"Madrid da morire": Prologo


Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Fabrizio De André, La città vecchia


Non importa quanto sia stato duro il tuo passato,
puoi sempre ricominciare da capo.

Buddha



PROLOGO





     Eravamo fottuti. Dall’alto della collina fissavo allibito la valle sotto di me: sulla scia della Mercedes di Ángel due luci blu correvano nella notte. Flash azzurri a bruciarmi gli occhi e i sogni di felicità. Due auto della polizia.
     Le due auto superarono Miraflores de la Sierra a razzo. La Mercedes correva veloce, la polizia non mollava. Ángel era un gran pilota. Poteva non bastare. Doveva bastare, la mia Michela era con lui. Il nostro paradiso era nelle mani di Ángel.
     La disperazione mi agguantò l’anima. Lottai per mantenere la calma aggrappandomi alle promesse di Michela:
     – Dopo questo ce ne andiamo io e te, ai tropici, per sempre. Non ci torno a fare la cameriera, mai più. Ce la spasseremo, Max, vedrai.
     Sentii il ruggito del motore. La Mercedes risaliva i tornanti come un drago infuriato. Ce la potevano fare. Era la nostra unica speranza. Michela e Max. Assaporai il nostro paradiso: palme e piña colada, grandi abbuffate e grandi scopate.
     – Io e te, per sempre.
     Ma il sogno svanì. Le sirene non mollavano. Eravamo fottuti.


"Madrid da morire": Capitolo 1





UNO


     – Arriva o no questo Barbaresco Gaja?
     – Subito.
     Corsi in cantina, rovistai nelle casse e tra le ragnatele scovai la reliquia. Ritornando scivolai sugli scalini di pietra e quasi mi spaccai il cranio. Subito immaginai duecento euro in liquido color rubino a innaffiare il pavimento.
     Passai davanti alla cucina sforzandomi di ignorare un disgustoso profumo di brasato. Entrai nella sala tutta velluti e stucchi barocchi, schivai due camerieri e afferrai un decanter. Una vibrazione nella tasca mi distrasse. Feci il giocoliere e detti un’occhiata: Viola. Guai. Mi presentai al tavolo trafelato e in affanno, con la bottiglia intatta per miracolo, e sfoggiai lo scarso aplomb di cui ero capace.
     – Faccia attenzione con quel vino. – Il cliente mi squadrò con disapprovazione. – Lei è nuovo del mestiere, vero?
     – Vent’anni di esperienza.
     – Non si direbbe. Visto, cara? Anche il servizio al Cambio non è più quello di una volta.
     – Te lo dicevo, caro, che dovevamo andare al golf della Mandria, almeno lì ti trattano come si deve.
     – Hai ragione, cara.
     – Le suggerisco di decantarlo, gioverà al bouquet. – Sbattei il Barbaresco sul tavolo. – Se non gradiscono, i signori sono liberi di togliere il disturbo quando meglio credono.
     Il tale mi fissò con ribrezzo. Mi passai una mano tra i capelli che avevano visto giorni migliori e gli regalai un’occhiataccia. Versai un dito di vino nella coppa.
     – Prego.
     Il cliente degustò e annuì senza alzare lo sguardo. Lo mandai a stendere col pensiero. Contemplai i riflessi del Barbaresco nel decanter. Come ero finito a lavorare lì? Quale cumulo di errori avevo commesso? Ero avvilito. L’ultima genialata mi aveva dato il colpo di grazia: otto cucuzze di debito e un simpatico esattore tutto muscoli che mi faceva il filo. Ricordavo bene la risposta: ero lì perché il Cambio pagava bene. Potevo ringraziare gli amici di Viola che mi avevano raccomandato con il maitre, altrimenti avrei già avuto un mignolo di meno. Certo che servire quel ben di dio senza sfiorarlo era una sofferenza. Che tortura. Non di solo aroma vive il sommelier.
     – Desidera altro, signore?
     Il tale mi respinse con un cenno, neanche gli avessi chiesto l’elemosina. E non era il peggior cliente che avessi avuto. Se il livello del servizio non era all’altezza della tradizione del locale, anche la clientela non era da meno. Ma non ero lì per la compagnia.
     – Massimo, corri al tavolo cinque. – Una mano mi tirò per il braccio. – E datti una mossa.
     La cortesia non era tra le qualità del maitre. Un tipo tagliato con l’accetta, rigido e falso alla vecchia usanza piemontese. Irritato, arrivai in un lampo al tavolo e mi sentii mancare. Di spalle sedeva una bionda con l’aria familiare. Troppo familiare. Era Lei? Non era possibile. Da dove era andata nessuno tornava mai.
     Un uomo al tavolo si voltò. – Allora, questa carta dei vini?
     La donna si ravviò i riccioli vaporosi. Il tavolo scoppiò in una risata e intravidi il suo mento pallido e affilato. Era Lei. Non riuscivo a respirare. Un fantasma.
     Michela.
     – Allora? – Un sussurro mi scosse. – Non ti pago per fare la bella statuina.
     Il maitre si beccò uno dei miei migliori sguardi assassini. Mi scappò, come un animale selvaggio che sbrana il domatore. Ecco tutto quel che rimaneva del Vecchio Max. Il maitre indietreggiò. Almeno facevo ancora impressione. Dei bei tempi non mi restava che questo.
     Mi avvicinai alla bionda. Trattenevo il fiato, in ansia. Le spalle scoperte disegnavano una linea sinuosa ed elegante. Quanto mi erano mancate. Provai l’impulso irresistibile di baciare quel collo di vaniglia. Potevo quasi toccarla. Il locale non esisteva più, camerieri e clienti svaniti nell’oblio. Il tempo si fermò. Di tutto l’universo non restava altro che la splendida pelle di Michela.
     La sfiorai con un dito.
     Si voltò.
     Sentii un vuoto esplodermi nel cuore.
     Lo spavento sul viso della donna lasciò il posto al furore. – Cosa vuole? Se ne vada.
     Non era Lei.
     Restai imbambolato, una bella statuina davvero. Vassoi e bottiglie mi sfrecciavano intorno. Ero spaesato, come se mi sforzassi di riconoscere un luogo alieno. Una vita non mia. Mi venne voglia di andarmene, mollare tutto e sparire, ficcare la testa sotto la sabbia e non tirarla fuori mai più. Il maitre non si disturbò neanche a riprendermi, gli bastò guardarmi e scuotere il capo, come per una causa persa.
     Mi ripresi. Correvo in cantina con in testa Michela quando suonò il cellulare. Merda. Sopra non potevo rispondere e sotto non c’era copertura. Mi fermai a metà scala. Era Viola. Non potevo ignorarla per la quarta volta. Sapeva che non dovevo rispondere eppure insisteva. I piedi mi facevano un male del diavolo: era inutile, non ero tagliato per quel lavoro.
     Schiacciai il verde. – Che c’è?
     – Max! Finalmente.
     – Sai che sto lavorando.
     – Sì, sì, volevo solo sapere a che ora ci vediamo.
     Mi immaginavo la scena: cenetta a lume di candela, coccole sul sofà e alto erotismo sotto il piumone. La prospettiva mi diede il voltastomaco.
     – Guarda, Viola, sono sfatto e siamo solo al pranzo.
     – Mi vuoi tirare il pacco di nuovo?
     – È che sono a pezzi. Davvero.
     – Massimo – il maitre fece capolino in cima alla scala – questa è l’ultima goccia.
     Viola ripartì all’attacco. – Sempre le solite scuse.
     – Senti Viola adesso non posso.
     – Te lo dico per l’ultima volta. – Il maitre era a un palmo da me. – Molla il telefono o qui dentro non entri più. È chiaro?
     – Sono stufa! Non t’azzardare a lasciarmi da sola anche stasera. Questa non te la faccio passare liscia.
     Strinsi il telefono fino a farmi male. Mi venne da scagliarlo in faccia al maitre e che andassero tutti in malora. Durò solo un istante. Fu troppo.
     – Fai quel che ti pare. Stammi bene, Max – e Viola riattaccò.
     – Bene Massimo, l’hai voluta tu. – Il maitre cacciò fuori dalla tasca una manciata di banconote. – Con queste sei sistemato, è più di quel che ti spetta. Con me hai chiuso. Sparisci immediatamente, e non t’azzardare a rimettere piede al Cambio.
     Restai solo nella penombra della cantina. Silenzio. Mi allentai il farfallino, ormai non occorreva più. Perché era così difficile? Sfogai la rabbia repressa con una manata contro il muro, che mi valse una fitta di dolore al palmo e un’altra dose di frustrazione. Perché non mi lasciavano in pace? Non capivano che avevo bisogno del mio spazio? Beh, in quella piacevole mattina di giovedì avevo tutto lo spazio che volevo.


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"Madrid da morire": Capitolo 2




DUE


     La breve passeggiata da uomo libero sotto i portici di Piazza Castello mi diede sui nervi. Dal cielo color piombo cadevano gocce pesanti. Eccoti servito il fascino di Torino. La bellezza dei monumenti tirati a lucido non aveva nessun effetto su me. Barocco austero per una città che mi rifiutava in tutti i modi. Il lato positivo dell’umidità di novembre è che ti aiuta a pensare, ma non erano pensieri divertenti. Viola me l’avrebbe fatta pagare. Le avevo mancato di rispetto, era comprensibile che si sentisse ferita. Rischiavo di perderla? Non sapevo né cosa aspettarmi, né come mi sentissi. Era una prospettiva che mi lasciava insensibile. Cosa provavo per lei? Dopo più di un anno, non avevo una risposta.
     All’angolo di Via Garibaldi tornai a questioni più concrete. Il Cambio era un capitolo chiuso. Cosa poteva fare un sommelier squattrinato per non morire di fame con un curriculum impresentabile come il mio? Ma il vero problema erano gli ottomila euro. Se non avevo uno straccio di lavoro, Tinazzi poteva cambiare opinione su di me: da mucca da mungere a carne morta. Mi venne un brivido. E non era l’umidità.
     Bighellonando senza meta, finii davanti a una vetrina scura con schermi zeppi di cifre. Come un sonnambulo lessi le quote: Lasciatemi Stare vincente, dieci a uno. Seduto per terra, un barbone chiedeva l’elemosina. Molto trendy in epoca di crisi. La mia paura più grande si materializzò davanti a me. Potevo finire come lui? Cercai la sicurezza che non avevo tastando le banconote accartocciate in tasca. A lui avrebbero cambiato la vita? E a me? Prima di rendermene conto, entrai e puntai tutto sul cavallo. Lasciatemi Stare, vincente. Non li contai neanche.
     Mentre seguivo le minuscole sagome a quattro zampe sul televisore, pensavo alle donne. A Lei. Con Viola mancava qualcosa. Forse non era la donna giusta, o forse ero io l’uomo sbagliato. Per telefono non le avevo dato neanche un bacio, niente. È che non mi veniva più. Forse mai più. Beh, poco male. Mi restava sempre il ricordo di Michela.
     Tornai in strada con una birra che mi nuotava nello stomaco e le tasche vuote. Specializzato in perdenti e cause perse. Accelerai l’andatura, con la delusione che si mischiava alla frustrazione in un cocktail deprimente. Bravo Max. Avevo una gran voglia di crollare sul divano e scaldarmi le budella con due dita di Glenfiddich, contemplando le foto di Lei. Quella era una consolazione che non mi avrebbe negato nessuno.
     Quando arrivai al parcheggio dietro ai Giardini Reali ero fradicio di pioggia e sfatto come se avessi corso tre maratone. Ero confuso, sopraffatto dalle emozioni. Non ricordavo neanche dove avevo lasciato la Cinquecento.
     – Ciao Max. Sorpresa.
     Cristo. Era Tinazzi. Scappa, Max, corri via. Quello era ben piantato, novanta chili almeno, magari non mi sarebbe stato dietro.
     – Non ti far venire strane idee.
     Vidi il manganello. Ero fritto. Da dove avrebbe iniziato? La bocca no, ti prego non mi spaccare tutti i denti come quel bastardo a San Salvario. Non avrei sopportato le torture del dentista una seconda volta. Dai, ammazzami di botte. Facciamola finita.
     – Dov’è la grana?
     – Te l’ho detto, ti pagherò, ho un buon lavoro, dammi tempo.
     – Sono tre mesi che non scuci un euro. Adesso basta.
     Tinazzi alzò il manganello. Incombeva come il Caval ëd Brons di Piazza San Carlo, pronto a darti una zoccolata in faccia.
     – Aspetta! Prendi questo. È per te. Dammi ancora qualche giorno.
     – È una patacca?
     – No, Rolex autentico. – Sì, comprato da un ricettatore per 50 sacchi. – Dai, solo qualche giorno, ti prometto...
     – Questo lo prendo io – Tinazzi si infilò l’orologio. – Ora zitto e ascolta.
     Mi prese per il collo. Faceva un male del diavolo.
     – Non credere di fare il furbo con me, capito coglione?
     Poi arrivò. Non fui accontentato. O forse era la mia sorte, se così si può chiamare una puntonata di manganello nello stomaco. Restai piegato in due a raccogliere le mie budella, mentre Tinazzi portava i suoi novanta chili di cattiveria a spremere qualcun altro.
     Faticai a salire in macchina. Faticai a trovare parcheggio sotto casa. Faticai a salire i quattro piani fino alla mia mansarda. Il dolore fisico era la ciliegina per quella giornata spietata. Non ne potevo più di quella vita. Quando richiusi la porta alle mie spalle, credetti che le mazzate fossero finite. Mi sbagliavo.
     Sullo schermo del portatile lampeggiava una mail nuova. Le quattro righe di caratteri facevano impallidire ogni mio ridicolo problemino. Rilessi quella fredda sequenza di pixel incapace di accettarne il senso. Era un incubo. Una scheggia di dubbio destinata a lacerarmi l’anima.


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venerdì 16 maggio 2014

Lavorare 6 ore al giorno, in Svezia si può - Trabajar 6 horas al día, en Suecia es posible


Stanchi di passare la giornata in ufficio? Stufi del capo che vi perseguita anche di notte e nei week-end?  Esausti per la responsabilità di lavorare in proprio, anche il sabato? Tranquilli, il futuro è già qui: da quest'anno il Comune di Goteborg partirà un esperimento sul campo di riduzione di giornata lavorativa a 30 ore settimanali.

Dunque si lavorerà 6 al giorno. La metà dei dipendenti comunali lavorerà con il nuovo orario, mentre l'altra metà manterrà quello abituale di 8 ore al giorno. La tesi è che chi lavora meno ore sarà più felice e motivato e prenderà meno permessi per malattia, offrendo quindi una produttività maggiore. Tra un anno il bilancio, che se sarà positivo porterà l'orario di 6 ore a tutti i dipendenti comunali, e forse anche ad altre aziende. 

E da noi? Tra la cultura spagnola del "presentismo" e quella italiana del "più sgobbo, più guadagno", siamo in lievissima controtendenza. Chissà quando l'onda lunga delle 6 ore arriverà anche sulle sponde del Mediterraneo.



Cansado de pasar el día en la oficina? Hasta las narices del jefe que te persigue incluso por la noche y los fines de semana? Agotado por la responsabilidad de trabajar por tu cuenta, incluso los sábados? No te preocupes, el futuro ya está aquí: este año el Ayuntamiento de Gotemburgo comenzará un experimento práctico para reducir la jornada laboral a 30 horas semanales.

Entonces se va a trabajar 6 por día. La mitad de los empleados municipales va a trabajar con el nuevo horario, mientras que la otra mitad se quedará con las habituales 8 horas al día. La tesis es que los que trabajan menos horas estarán más felices y motivados y tendrán menos bajas por enfermedad, proporcionando así una mayor productividad. Dentro de un año el balance, que si fuera positivo llevaría el horario de 6 horas a todos los empleados de la ciudad, y tal vez incluso a otras empresas.

¿Y nosotros? Entre la cultura española de "presentismo" y el italiano "cuanto más curro, más ganancia", estamos muy levemente desfasados. Quién sabe cuándo la corriente de las 6 horas alcanzará también las orillas del Mediterráneo.

lunedì 12 maggio 2014

DISPONIBILE "Madrid da morire" di Tommaso Franco



Quando il passato ritorna
non resta che scoprire
per che cosa sei disposto a morire.


Da oggi è disponibile "Madrid da morire", il mio nuovo thriller mozzafiato che ti sconvolgerà il cuore dalla prima all’ultima pagina.

Scegli il formato che preferisci:
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Se puoi, dillo ad amici, familiari e colleghi, che corra la voce.

Quando avrai letto il libro, puoi dare il tuo giudizio e scrivere una recensione sulla pagina dove l'hai acquistato, o lasciare un commento su questo blog.

Buona lettura!


Se vuoi mi puoi contattare alla mia mail personale.